Angeli dei Sette Chakra |
 Gli Angeli dei Chakra si rivolgono ad animi in cammino verso un sempre maggiore e consapevole equilibrio personale.
Donarsi o donare un angelo dei Chakra è un gesto colmo di simboli e significati.
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Seguito de “Scatole di lattaâ€
Sono confusa come il contenuto delle borse da donna.
A nulla valgono i miei sforzi per riordinare idee e sentimenti.
...quel vecchio pigiama blu con i bordi rossi... dio come mi piaceva!
Quando lo indossavo mi sentivo invincibile come un super eroe.
Avrei potuto sconfiggere il male, aiutare i deboli, diventare invisibile e persino volare: se solo
avessi voluto!
Erano momenti magici che diventavano quasi poetici quando Ersilia mi permetteva di indossare i suoi stivaletti di vernice nera. Allora correvo ad un palmo dal pavimento, lungo tutto il corridoio, giravo a destra attraversando la cucina in diagonale, scavalcando sedie, schivando il tavolo e mi attaccavo alla maniglia della porta che conduceva in cantina.
La sotto non mi è mai piaciuto andare, ma ci sono dei momenti nella vita di ognuno di noi in cui vale la pena di trovare il coraggio per superare le proprie paure.
Basta volerlo intensamente?
Basta chiedersi che cosa si è disposti a perdere o guadagnare?
Basta essere incoscienti o coraggiosi?
Non lo so, l’unica cosa che so è che, quelle rare volte che Ersilia mi diceva di si, affrontavo le scale di legno che portavano nel mondo delle ombre come un intrepido guerriero va incontro al suo destino.
Dimenticando tutto il resto.
Salti nel vuoto.
Mi sento spinta in avanti e indietro, sballottata come una spiga di grano, ancora acerba, che rifiuta di farsi spezzare da un vento impetuoso e immobile che non riesco a catturare, che mi passa tra le dita e mi fa raggelare.
C’è un cesto di frutta sul davanzale, è blu, è di paglia, qualche tempo fa avevo deciso di liberarmene: fragile per il troppo peso sopportato silenziosamente, aveva cominciato a cedere. Stecche di vimini contorto si staccavano in piccoli frammenti, poi... poi ho trovato della rafia dello stesso colore e, quasi senza rendermene conto, ho passato il pomeriggio ad aggiustarlo.
Lo guardo quasi con amore.
Uno strano sentimento da rivolgere ad uno stupido oggetto.
Un turbamento.
Guardo meglio, accarezzo da lontano la frutta che non è più fresca, che ormai non conosce o non ricorda le sue stagioni: uva e pesche, pere e arance, prugne e ananas...
Guardo meglio, una nuvola di moscerini festeggia indisturbata.
Una mela verde, acerba e perfetta, svetta senza giustificazione su quella collina immangiabile.
Sorrido con le lacrime agli occhi.
Ricordo con tenerezza la passione e la pazienza di cui Ersilia era capace quando affrontava il suo frutto preferito.
Il suo è un rituale che merita di non essere dimenticato.
In cucina c’era sempre un centrotavola di cristallo azzurro pieno di mele verdi.
Si sedeva compostamente lì davanti e aspettava... aspettava che la mela giusta si facesse riconoscere.
Non mi ha mai svelato il suo segreto, poteva essere il profumo, poteva essere la forma... una depressione della buccia.
Sinceramente non lo so e, forse, non lo sapeva nemmeno lei.
Fatto sta che dopo qualche minuto o più di un ora, allungava una mano, prendeva il frutto che voleva farsi mangiare e lo accarezzava.
Passava le sue dita, lunghe e bianche, leggere, sul profilo verde, chiudeva gli occhi e continuava a vederlo.
Annusava la sua fragranza, si godeva la sua freschezza, aspirava ogni singola variazione di un aroma che già pregustava.
Poi, con calma si alzava, andava al lavandino e lo lavava.
Litri e litri di acqua fredda si riversavano sulla buccia liscia bagnandola senza bagnarla.
Un morbido strofinaccio pulito l’asciugava.
Solo allora Ersilia tornava a sedersi al suo posto, con la mela perfetta deposta al centro di un piccolo piatto da frutta senza decorazioni vistose.
Prima di tutto toglieva il picciolo.
Lo tratteneva con due dita mentre con l’altra mano faceva girare il pomo fino al distacco.
Contava i giri.
Ad ogni giro corrispondeva una lettera.
Ad ogni lettera un nome.
Ad ogni nome una persona.
Persone stabilite in precedenza che potevano essere buone o cattive, ma anche domande che necessitavano una risposta.
Risposte che sarebbero arrivate da quella persona.
Adesso che ci penso, Ersilia, qualche volta era proprio strana.
Ersilia ci credeva davvero.
Apriva il cassetto ed estraeva un coltello affilatissimo con cui denudava il frutto.
Un sottilissimo ed ininterrotto ricciolo ricadeva nel piatto per essere trasformato subito dopo in una rosa da sistemare sulla stufa.
Quanto tempo per mangiare una mela?
Ma il rituale non finiva così, perché adesso viene il bello.
Ersilia tagliava fettine trasparenti che si scioglievano in bocca, nemmeno una lama da rasoio sarebbe riuscita ad ottenerne di più minute.
Era l’estenuante ricerca della forma di un torsolo immaginato, l’assoluta libidine del sapore sul palato che culminava nei piccoli semi marroni pazientemente rotti dagli incisivi ormai limati.
Infine, appagata e soddisfatta, riprendeva la sua giornata.
Inutile dire che io non ci sono mai riuscita.
Per me, la cosa migliore è addentare la mela con tutta la buccia, dare grossi morsi rumorosi a quel frutto verde ancora acido e qualche volta, lo ammetto, mi dimentico ancora di lavarlo.
Per fortuna c’è sempre una manica a portata di mano per lucidare la buccia troppo spessa. © M.Pagin - Tutti i diritti riservati. È vietato utilizzare i testi, anche parzialmente, senza autorizzazione dell'Autore. |
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